Questi sono i miei principi. Se non ti piacciono, ne ho altri
A rendere la scrittura umoristica rara e preziosa è innanzitutto la sua difficoltà: far ridere con le parole è un’arte complessa, giocata su equilibri sottili e la perfetta calibratura di battute e ritmo.
Una sillaba fuori posto, e l’effetto comico della stessa frase rischia di venire meno.
Per senso del ritmo e invenzione è qualcosa di assimilabile alla musica Jazz. E va da sé che gli anglosassoni siano i veri maestri del genere. Da P.G. Wodehouse a Jerome K. Jerome, da Davis Sedaris a Douglas Adams, è davvero folta la schiera di geni comici nel mondo letterario anglofono, capaci di spaziare dalla commedia alla comicità pura, dalla narrativa satirica o parodistica al wit, dal dialogo in stile british alle atmosfere più surreali.
In Italia la grande tradizione comica non manca, ma è pur vero che se i nostri comici ormai imperversano un po’ ovunque, specie al cinema e in TV, sul terreno propriamente letterario e in particolar modo nella narrativa la scuola umoristica è stata meno feconda di talenti. Tra i contemporanei, lasciando perdere il teatro e al netto di qualche nome illustre e supercitato come Ennio Flaiano, Achille Campanile, Giovanni Guareschi, Marcello Marchesi, o i più recenti Walter Fontana, Stefano Benni e pochi altri, è difficile individuare un grande narratore umoristico. Forse, almeno per la nostra produzione romanzesca, vale il luogo comune che vuole gli italiani più inclini al melodramma mentre il senso innato per la battuta fulminante o il paradosso sarebbero più tipicamente anglosassoni.
La nostra è di solito una comicità intrisa di commedia, spesso racchiusa nei confini del bozzetto di provincia (pensiamo a Piero Chiara e ad Andrea Vitali).
Un’eccezione è rappresentata dall’epocale maschera di Fantozzi, che passando dal romanzo al cinema ha fatto ridere milioni di italiani di fronte alle brutture, ai paradossi e ai cortocircuiti di una nuova Italia urbanizzata, impiegatizia, gerarchizzata in quadri, galoppini e dirigenti, alle prese con feticci da arredamento archeotech (il puf) e i soliti riti nazionalpopolari che inglobavano le nuove possibilità di un benessere diffuso (il tennis la domenica, la vacanza sulla neve).
A ogni modo, la scrittura umoristica è sempre preziosa, anche agli occhi degli addetti ai lavori dell’editoria italiana, e difficilmente si lascia scappare un talento comico quando lo si intercetta.
«Una buona risata è il sole in casa», diceva un proverbio inglese. E cosa c’è di meglio che creare quel sole con le proprie parole?
Per questo, se pensi di essere un umorista nato, se ti accorgi di avere il dono di far ridere gli altri, se ami appuntarti battute, scrivere scene divertenti e raccontare personaggi buffi, sappi che sei una “mosca bianca”, hai un’inclinazione tutta da coltivare. Perché… be’, perché le tue battute sono una pista poco battuta.
Insisti dunque, con coraggio e ostinazione.