È in uscita, dopo ben 13 anni di silenzio, Le schegge: il nuovo e forse ultimo romanzo di Bret Easton Ellis.
Ellis, tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, ha rappresentato un paradigma. Chi legge per mestiere, ricoprendo ruoli di scout, editor o simili, sa bene che per una manciata di anni una parte consistente dei manoscritti che arrivavano nelle case editrici erano scritti “alla” Ellis. Ma era trascorso un po’ di tempo e dopo Seratina di Ammaniti, dopo la gioventù dei Cannibali, nei primi anni duemila certi stilemi mostravano la corda. Insomma, avevano un po’ rotto: io qui. Punto. io là. Punto.
Quel minimalismo anabolizzato, quella glacialità di maniera, per non parlare del name dropping e dello spiattellamento di tutto quell’armamentario brandizzato…
Troppi lo imitavano e l’equivoco, dunque, è stato credere che Ellis fosse facile. Facile da imitare. Una certa insofferenza, insomma, si era diffusa tra gli addetti ai lavori.
Ecco perché vale forse la pena spendere due parole su questo aspetto: cosa fa di Ellis… Ellis, e cosa distanzia i suoi eroi dai tanti nipotini di Patrick Bateman. Che poi è il tema cruciale, con cui deve confrontarsi chiunque lavori in questo settore: quand’è che un libro e una scrittura, pur muovendosi fatalmente sulla scia di altri modelli, preservano un cuore di personalità e originalità, e quando invece vanno scartati come puri ricalchi, pur esibendo mezzi espressivi adeguati per essere “ottimi ricalchi”.
Torniamo a Ellis, e pensiamo ad esempio a uno dei suoi elementi più caratterizzanti: l’esibizione della violenza. Ci accorgiamo che nei suoi romanzi, particolarmente in American Psycho, questa violenza senza uno scopo, senza una causa, senza sfondo psicologico, senza una possibile dialettica tra delitto e castigo, è il grimaldello attraverso cui l’autore forza in maniera inedita ed estrema le possibilità di sviluppo e interpretazione del personaggio e del racconto in prima persona. Lo sottolineava già Emanuele Trevi nella sua postfazione alla riedizione, dieci anni dopo la prima, dell’antologia Gioventù cannibale.
I protagonisti dei romanzi di Ellis non hanno un prima, non hanno un dopo, non sanno quello che fanno né ciò che vogliono. In questo sono come dèi, affascinanti e potenzialmente senza limiti di sviluppo drammaturgico.
Anche se la critica ha avallato la facile lettura del romanzo e della sua parossistica violenza come maschera degli anni Ottanta, possiamo ben dire che con Ellis questa ferocia fissata nella gratuità di un eterno presente cessa di essere un “tema”, e diventa un espediente tecnico, una nuova estetica, analogamente a quanto accade nel cinema di Tarantino. In epigrafe, American Psycho reca non a caso un estratto di Memorie del sottosuolo di Dostoevskij. Insomma, c’è una profondità innegabile sotto e attraverso la patina gelida e glamour. È facile notare come gli emulatori si siano fatti irretire soltanto dalla patina in sé, dalla girandola di marchi costosi, di ambienti irraggiungibili ai più, come a voler giocare con il solo pulsante delle luci di un’automobilina, fregandosene di farla correre o di vedere come funziona. Soprattutto, in moltissimi casi manca la capacità di cogliere un dato essenziale, vale a dire come la Moda, arredo importante nelle trame di Ellis, non sia che espressione della Morte.
L’esasperazione dell’effimero e del transitorio per definizione, la Moda appunto, che viene e passa, che trasforma con la sua forza irresistibile ogni presente in passato, è il solo linguaggio tangibile, intellegibile, che sappia restituire la misteriosa e sconosciuta essenza di ciò che di più serio e dirimente c’è nella nostra esistenza: la Morte, di cui nessuno ha avuto esperienza diretta che abbia poi potuto riferire. In fondo anche Leopardi, nelle sue Operette morali, proponeva un Dialogo della Moda e della Morte intese come sorelle in apparente contraddizione che però, insieme, rappresentano un’unità più ampia, il vero mistero dell’esistenza umana.
Anche per questa ragione, allontanandoci per un attimo dal caso Ellis, possiamo dire che diffidare per partito preso dei libri “di moda” è sempre un azzardo. Anche quando sono evidentemente roba da poco. Perché è nella loro stessa natura riuscire, seppur involontariamente, a catturare e rivelare aspetti della realtà altrimenti destinati a restare sotto silenzio.